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15 novembre 2009 7 15 /11 /novembre /2009 12:59

Un problema che attualmente affligge l’Italia è senza dubbio quello dell’immigrazione. È irrilevante che si tratti di immigrazione autorizzata o clandestina, il problema è analogo: ci sono comunque queste masse di persone di nazionalità, cultura, religione diversa dalla nostra che vengono in Italia speranzosi di trovare delle condizioni di vita migliori di quelle che hanno lasciato partendo.
La presenza di tutte queste persone estranee al contesto sociale politico culturale (ecc.) locale causa pericolose tensioni sociali: dalle più banali forme di emarginazione sociale e
discriminazione razziale, alla nascita di movimenti xenofobi, alla stilatura in parlamento di leggi prive di senso come la Bossi-Fini, alla creazione di comunità di immigrati che volontariamente si richiudono nel loro mondo annullando così ogni possibilità di integrazione. Inutile negare poi che tra i molti che giungono in Italia una percentuale rilevante contribuisce ad incrementare i disordini e la criminalità, spesso anche raggruppandosi in bande e organizzazioni criminali. Non meno rilevante è l’effetto sull’economia, certo, molto spesso gli immigrati sono destinati a lavori umili, quei lavori (come si ripete spesso) che gl’italiani non vogliono più fare; ma in molti casi proprio questa loro disponibilità ha provocato la perdita del posto di lavoro per gli italiani stessi, alimentando così il clima di intolleranza e spesso di razzismo.
Ma se ce ne ricordiamo bene c’è stato un periodo nella nostra storia in cui noi (o i nostri padri, nonni, bisnonni) siamo stati il marocchino, il cingalese, l’albanese, lo slavo, l’armeno dei giorni nostri. Non certo in Italia ma negli Stati Uniti e negli stati più ricchi d’Europa. Dalla fine dell’ottocento fino agli anni sessanta del novecento ci sono stati
flussi migratori di italiani che partivano in cerca di fortuna. E la nostra situazione sociale non era certo molto diversa da quella degli extracomunitari di oggi. Anche noi eravamo mal visti ed emarginati all’estero. Anche noi eravamo costretti a svolgere i lavori più umili all’estero, anche noi eravamo sfruttati, maltrattati, umiliati, dai padroni di lavoro. Inoltre allora come oggi era alto il razzismo e l’emarginazione sociale per quegli immigrati italiani che molto spesso (come ancora oggi accade) venivano associati alla delinquenza alla mafia. E soprattutto le condizioni di vita dei nostri immigrati erano pessime, molto peggiori di quelle degli immigrati odierni. Basti pensare a come si viveva in America Latina (a fianco degli schiavi neri nelle piantagioni) oppure nei ghetti delle periferie delle grandi città negli USA, oppure nelle miniere francesi, tedesche, olandesi dove per qualche soldo si sfidava giornalmente la morte in strutture dove le norme di sicurezza erano solo un lontano ricordo.
Come è stato possibile però che hai giorni nostri si sia registrato una così improvvisa inversione di tendenza. O meglio, come è stato possibile che l’Italia da terra di emigranti si sia trasformata solo nel corso di un secolo in meta dell’immigrazione? Il merito di questa inversione si deve ricercare nello sviluppo che l’economia italiana ha incontrato negli anni sessanta del novecento, con il boom economico non è stato più necessario andare all’estero per cercare condizioni di vita migliori, perché le condizioni migliori stavano iniziando a esserci anche in Italia stessa. Lentamente, questo processo di industrializzazione di massa e di crescita economica, ha portato lo stato ad appianare almeno in parte, il divario accumulato con le altre potenze durante le guerre e le crisi della prima metà del secolo. Nella seconda metà del secolo, l’Italia ha raggiunto un progresso economico tale, da far nascere nei paesi non ancora sviluppati il desiderio di cercare condizioni di vita migliori nel nostro paese. L’inversione di tendenza spiegabile quindi con la classica legge dei corsi e ricorsi della storia.
Ma Il flusso migratorio verso l’Italia non durerà per sempre. Poiché si tende a migrare sempre verso un posto che appare come migliore, quando i paesi da cui provengono gli immigrati si saranno sviluppati e avranno raggiunto un grado di sviluppo economico pari al nostro, l’immigrazione cesserà spontaneamente, allo stesso modo di come è avvenuto per gli italiani. Nel frattempo è inutile insistere in politiche xenofobe, razziste, o di sfruttamento. Sarebbe più utile e costruttivo creare le condizioni necessarie affinché i paesi stessi da cui parte l’immigrazione raggiungano il livello di sviluppo europeo rendendo a quel punto non necessaria la loro emigrazione.
E comunque, non è detto che una società mista e multirazziale debba essere peggiore di una società omogenea unirazziale, anzi può avere pregi e difetti.
Perché così come nel mondo fisico (in natura) anche nella società umana ogni cosa nasce da una differenza (nel nostro caso tra individui appartenenti alla stessa società), perché è proprio per colmare un dislivello che quasi sempre si agisce, e agendo in questo senso si tende al miglioramento della società stessa, più un sistema è variamente composto, più ci sono possibilità che al suo interno avvengano dei cambiamenti, sta poi al sistema fare in modo che questi cambiamenti tendano a migliorarlo anziché a distruggerlo.
L’immigrazione può essere quindi vista come un pericolo? No, può essere invece un momento di crescita, perché non bisogna dimenticare che la maggioranza di chi emigra lo fa per lavorare (e in fin dei conti al contrario di quel che si dice questi soggetti sono la maggioranza), e chi lavora genera ricchezza, generando ricchezza in certo qual modo migliora la vita di tutti gli appartenenti al sistema. L’esempio più eclatante di ciò è senza dubbio la variegata società americana, composta in massima parte da immigrati di quasi tutti i paesi del mondo. Il successo dell’economia americana è dovuto in parte anche all’influenza degli italiani che a milioni vi sono migrati in cerca di fortuna.
Quindi sì all’immigrazione, ma solo se con controlli più efficaci di quelli attuali, e con leggi più efficaci per i delinquenti e più umane per chi migra qui solo per lavorare. Perché troppo spesso la necessita di lavorare degli immigrati viene sfruttata a vantaggio di
imprenditori disonesti che abusano della abbondante mano d’opera.
Si necessita quindi di leggi più chiare e migliori per regolare il flusso migratorio, non provvedimenti come la Bossi – Fini, che non si può chiamare di certo “legge”.
Inoltre c’è una riforma che non dipende dallo stato, ma da noi stessi, ed è l’apertura verso culture diverse dalla nostra, che a volte possono spaventare ma con cui bisognerà imparare a convivere, dato il futuro dell’economia italiana, a quanto pare, passerà anche da lì.

 

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